Ewa e Bengt Thomaeus sono svedesi e, dal 2013,  sono i felici proprietari di Monte Rosola Winery, nei pressi di Volterra in Toscana. La tenuta, che gode di un ottimo microclima accarezzato da una delicata brezza, è al centro di un altopiano posto tra due antiche valli boscose e accoglie circa ventitre ettari di vigneti tra Vermentino, Manzoni, Grechetto, Viogner e Sangiovese.

Arrivando in macchina su un sentiero che sembra una sottile pennellata di un pittore, come un baffo di Salvador Dalì,  si scorge una meravigliosa ellisse che incornicia e rafforza la potenza del paesaggio, di Mauro Staccioli, artista Volterrano di fama internazionale. Realizzata nel 2009 s’intitola Primi Passi, è larga 13 metri e alta 8.

L’azienda è totalmente biologica e bio sostenibile, ma attenzione, ci spiega Michele Senesi Direttore di Monte Rosola e agronomo – “Vorrei che la mia visione, condivisa dall’intera famiglia Thomaeus, fosse ben chiara. Noi non seguiamo o inseguiamo le mode e non vogliamo assolutamente proporre un prodotto commerciale. Tutto il nostro lavoro è volto a creare un’identità precisa intorno ai nostri vini. La vendemmia è manuale, così come le rimonte e le follature. Con cinquanta mila e forse arriveremo anche a settanta mila bottiglie l’anno, desideriamo essere notati per la qualità senza compromessi e, come dicevo prima, per la nostra identità specifica e fortemente radicata in questo territorio. Detto ciò, si è vero, tutto il nostro vino è certificato bio e la tenuta è stata pensata e costruita in armonia con la natura e improntata al massimo risparmio energetico e all’autosufficienza. Questo lo vedrai con i tuoi occhi appena scenderemo nella cantina”. Ritorniamo ai Signori Thomaeus, m’incuriosisce sapere di più su di loro e dimmi come sono arrivati qui. “La Toscana simboleggia per l’oro il sogno dell’Italia e lo stile di vita italiano. Qui amano il paesaggio, la cultura, la storia, l’ospitalità dei locali, la tradizione culinaria. Il vino Toscano è sempre stato il loro preferito. Hanno sempre ammirato I più importanti produttori della regione e I loro fantastici vini di grande complessità aromatica, corpo, struttura ed eleganza. Hanno visto un grande potenziale nella tenuta e nelle persone che ci lavorano. Quando arrivano sono soliti trattenersi molto a lungo, sono una grande famiglia, con bambini, tutti bellissimi” racconta Michele. Infatti, noto una grande e bella foto della famiglia proprio nell’elegante sala di degustazione.

Tornando ai vitigni che tanto ci appassionano, Michele proviene da una famiglia di agricoltori, sono quattordici anni che lavora nel mondo della viticoltura. Ha studiato Agraria a Pisa ed è cresciuto guardando il nonno a Prato d’Era, località sotto Volterra, che curava la vigna con grande passione e abnegazione. Due doti che gli ha certamente trasmesso e questo si nota quando i suoi occhi, di un verde particolare, s’illuminano di un guizzo quando ci descrive come lavora il Trifoglio Sotterraneo: “Il Trifoglio appartiene alla famiglia delle leguminose e nel suo apparato radicale ci sono dei batteri chiamati azoto-fissatori che assorbono l’azoto atmosferico e lo rilasciano nel terreno. Siamo in presenza di una perfetta fertilizzazione naturale, fatta da piante per altre piante. Nel caso di questa sperimentazione – promossa da Coldiretti con l’Università di Pisa e Bologna – l’obiettivo è capire come si possono contenere le erbe infestanti sotto fila (intorno alle viti) e tra le file del vigneto. Inoltre, in base a quello che è stato seminato, vedere se ciò influisce sugli aspetti quantitativi e qualitativi dell‘uva. L’idea di sperimentare il Trifoglio Sotterraneo si basa su questi aspetti: nascendo a fine settembre e terminando il suo ciclo in giugno, mantiene coperto il suolo nel periodo di maggiore erosione dovuto alle piogge. Inoltre copre velocemente lo spazio andando a impedire la germinazione di altri semi. Poiché muore nel momento i cui la vite inizia a raggiungere il suo picco di sviluppo, le due piante non competono per l’acqua. Prima di morire, si auto-risemina, e il materiale vegetale secco rimanente forma un cuscino che limita l’evapotraspirazione dell’acqua durante i mesi estivi più caldi. Per me è importante far capire come all’interno della sua biomassa, durante il suo ciclo, trovino alloggio microorganismi importanti per aumentare la complessità nell’ecosistema vigneto e quindi rafforzarlo”. Dopo l’interessante storia del laborioso e utile trifoglio ci è venuta una gran voglia di scendere nella famosa cantina.

Quest’ultima è rivolta a nord e si trova in una struttura sotterranea all’interno di un’altra struttura che la contiene (tipo Matrioska) con pavimenti e soffitti rinforzati, questo sistema ingegnoso crea un sistema di circolazione dell’aria che regola naturalmente la temperatura intorno alle pareti della cantina. Mentre gli altri scendono giù attraverso le scale, io preferisco godermi la discesa nel vezzoso ascensore a forma di cava tappo, con le pareti ricoperte di sughero. Appena esco dal tappo, scorgo immediatamente i tini e l’emozione s’impadronisce di me. Chiedo a Michele di poterli vedere da vicino e mentre camminiamo verso di loro, mi fornisce altri dettagli sul come questo metodo di mantenimento della temperatura sia completamente sostenibile: “Questo sistema ci permette di utilizzare energia sostenibile tutto l’anno, ad esempio il calore residuo dei sistemi di raffreddamento è automaticamente immesso in una piscina sul tetto (poi te la mostro, è vicino al barbecue) così eliminiamo le ventole rumorose e non rivolgiamo il calore all’interno del terreno, cosa che rovinerebbe e seccherebbe la terra e, è stato accertato, provochi anche smottamenti.
Abbiamo anche un sistema di raccolta dell’acqua piovana, che è raccolta in grandi serbatoi e poi passa attraverso un impianto di depurazione, prima di essere usata”. Eccoci ai quattordici tini, a forma di calice, di cemento non vetrificato perché è un ambiente più naturale dell’acciaio, la loro forma favorisce la movimentazione del vino e hanno una base diversa a seconda che contengano il bianco o il rosso. Al loro interno avviene la fermentazione naturale dei lieviti. Dopo esserci soffermati a lungo in cantina Michele ci propone di degustare alcuni dei suoi vini. Il suo preferito è il Canto della Civetta, un Merlot atipico, ottenuto a circa 440 mslm, che coniuga gli aspetti di rotondità con quelli un pochino più tipici del Sangiovese e quindi risulta di carattere ma bilanciato, con una beva molto fresca. Io, prima di arrivare al Canto della Civetta, mi sono subito inebriata con il primo in degustazione, un bianco Vermentino, il Cassero che, chiudendo gli occhi, mi ha subito portato su una bella spiaggia assolata, mi è piaciuto perché ho percepito un gusto cristallino e pulito, fresco e leggero. Insomma una giornata davvero memorabile e un motivo in più per tutti per visitare Volterra e dintorni. Monte Rosola, siamo sicuri, diventerà presto una tra le mete preferite per chi cerca vini di nicchia e per chi apprezza territori rispettati e non inutilmente e retoricamente abbelliti.

Chapeau infine alla famiglia Thomaeus che ha coraggiosamente creduto e investito qui.