Una conversazione con Sergio Risaliti alla ricerca di un nuovo senso e di contenuti diversi per risvegliare una città che, a seguito della pandemia, si è trovata isolata, deserta e ripiegata sul suo passato, ma soprattutto incapace di trovare una nuova lettura e interpretazione dell’imminente futuro. Saranno le gallerie di arte contemporanea a voler scommettere, con coraggio, sul talento dei nuovi giovani artisti emergenti? Oppure neanche questa forma di mecenatismo sarà realmente sufficiente a spezzare quel meccanismo perverso che, con spettacolari azioni di marketing, prima attirava le folle, ora attira milioni di like, provenienti da gruppi d’individui (o account virtuali, questo è difficile da verificare) che aleggiano, senza meta, intorno al mondo dell’arte.

È un’originale visione della città di Firenze quella sulla quale Sergio Risaliti ci propone una riflessione approfondita e inconsueta. E’ un intellettuale con “un rapporto prolungato con le arti” dalla poesia, alla musica, alla danza classica, con una forte propensione alla filosofia. Proprio quest’ultima gli suggerisce un approccio all’arte “aperto a un pensiero complesso e interdisciplinare e non chiuso a una dimensione filologica”.

Sua la regia della recente iniziativa, senza precedenti a Firenze, Primo Vere che vede coinvolte sei gallerie – Frittelli, Il Ponte, La Portineria, Poggiali, Santo Ficara e Eduardo Secci – che fanno sistema per lanciare un forte segnale di rinascita e vivacità culturale, ospitando giovani artisti concedendo loro una “vetrina” privilegiata e una grande opportunità.

Lo incontriamo nel Museo Novecento di cui è direttore e, alla prima domanda su cosa sia l’arte contemporanea oggi, la risposta è serenamente decisa: “Il discorso è più completo se spiego che l’arte é tutta attuale, anche l’arte antica”. Visto il suo background di storico dell’arte, mi suggerisce di non avere un approccio settoriale e accademico perché: “Dobbiamo sempre metterci in discussione e porre lo sguardo dal di fuori su noi stessi. Conoscere vuol dire accettare la propria ignoranza, per me lo studio deve essere interdisciplinare e trasversale e contenere la storia dell’arte, la letteratura, la storia sociale, argomenti scientifici ma anche esoterici, senza i quali è difficile capire a fondo l’arte del Rinascimento. Questo vuol dire essere dentro lo spirito del tempo incrociandolo con la cultura dell’artista”.

Fermo restando che “l’arte è e resta un’esperienza personale, come una corda tesa tra l’opera e chi la guarda”, il direttore del Museo Novecento è impegnato da circa un decennio a portare l’attenzione della città anche sull’arte contemporanea, attraverso la scelta di artisti che creano, con le loro installazioni, uno shock visivo molto intenso rispetto al contesto storico-artistico che li ospita.

Sicuramente l’intenzione è quella di interrompere un ciclo, Firenze ha da sempre abituato i suoi visitatori a essere incanalati in percorsi dedicati verso le grandi icone del Rinascimento. “Questa enorme massa di visitatori sembra obbligata a compiere un atto rituale alla ricerca del mistero della bellezza che ha immaginato di poter incontrare attraverso la diffusione globale delle grandi icone rinascimentali, ignara che il mito del Rinascimento di volta in volta si pietrifica sotto la spinta di due forze: la museificazione e la rendita di posizione che agiscono con una comune finalità, quella di reificare assieme al mito la sua esperienza immutabile e la sua originalità assoluta e immutevole.”

Occorre invece prendersi il tempo per studiare e contemplare e, anche l’arte antica, deve spingersi verso un’interpretazione sempre diversa. Non ci sono oggetti immodificabili o assoluti giacché il momento dell’originalità coincide precisamente con il momento storico in cui l’opera è stata creata e costruita. La città va restituita ai cittadini, bisogna lavorare prima per loro e poi per i turisti, non vorrei più sentir parlare di turismo di massa, vorrei vedere individui consapevoli e curiosi. Firenze non è una vetrina e non si può parlare di Rinascimento solo quando fa comodo, bisogna approfondire la storia come quella di Lorenzo il Magnifico, un vero mecenate che sosteneva giovani talenti, per esempio con lui germogliò Michelangelo. All’epoca Firenze era una grande diffusa residenza artistica, con un’identità culturale ben precisa, e oggi può e deve tornare ad esserlo“. Il suo Museo Novecento è strutturato come un laboratorio, dove si insiste sulla riflessione e sulla ricerca sulla formazione e il sostegno al talento creativo, si potrebbe anche definire “un istituto di cultura del 900”, un grande alleato della scuola e un servizio pubblico. È chiaro che una struttura del genere deve essere economicamente sostenibile, ma “non deve assolutamente essere basata su operazioni di puro marketing, che vedono come unico indice di successo la quantità di visitatori e la quantità di like sui social. Ti ricordi quella scena del film Tempi Moderni di Charlie Chaplin quando lui rimane incastrato negli ingranaggi… ecco io non mi voglio ritrovare in quella situazione….vittima di meccanismi tecnologici superiori”.

Prima di salutarci mi consegna, con un sorriso che noto dai suoi occhi, un biglietto sul quale ha scritto degli appunti durante la nostra conversazione e che riporto qui di seguito: “Firenze deve essere una città creativa, un luogo di sensibilizzazione artistica, deve essere interdisciplinare, ecosostenibile e inclusiva. Deve ritrovare quella generosità dei privati a oggi perduta dove possa affermarsi una vera e propria democrazia culturale e non un’oligarchia del profitto culturale.”