Quando penso a Salvatore Ferragamo mi piace sempre ricordare quando, nel 1954, la divina Audrey Hepburn venne a Firenze a trovarlo a Palazzo Feroni. Reduce dal suo primo Oscar per “Vacanze Romane” voleva farsi fare alcuni modelli di scarpe su misura.
Siamo negli anni 50’ e Salvatore Ferragamo è una già star acclamata in tutto il mondo.

Ma facciamo un passo indietro, nel 1914 Salvatore si trasferisce in America e lascia Bonito (piccolo paesino dell’Irpinia) perché a suo dire: “A Bonito non può esserci avvenire per coloro che hanno ambizioni”. Voleva diventare calzolaio e, con umiltà e grande determinazione, porta avanti il suo sogno facendolo diventare realtà. Immediatamente notato a Hollywood, realizza modelli unici e meravigliosi per tutte le star più famose del cinema americano. Il suo principio base era: “É la scarpa che deve adattarsi al piede e non viceversa”.

La creatività dei modelli, l’innovazione di estro e il savoir-faire tutto italiano, scaturiva anche dalla scelta dei materiali, che voleva il più possibile “naturali”.

La sua continua sperimentazione riguarda non solo i pellami e le tomaie ricamate, ma anche materiali più poveri come: la carta; la corteccia d’albero; la rafia; la pelle di pesce; il cellofan.

Indimenticabile e ancora attualissima la zeppa di sughero, la wedge, che permette di mantenere il sostegno dell’arco plantare e concede al piede di respirare liberamente.

Ecco un’altro degli insegnamenti che ci ha lasciato: ogni materiale, anche il più modesto e apparentemente inadatto a un’industria di lusso, può essere modificato in maniera brillante.

La ricerca sui materiali si concretizza soprattutto negli anni 30’ e 40’, poco dopo il suo rientro in Italia nel 1927, quando, stabilendosi a Firenze, decide di utilizzare il ricamo in seta e cotone, il merletto ad ago e gli intrecci di paglia. Alla metà degli anni 30’ l’impiego di fibre e tessuti innovativi, della pelle di pesce, della canapa, è connesso al clima di propaganda nazionalista che si afferma durante il fascismo e che è rafforzato dalla politica di sanzioni economiche imposta al nostro paese. Durante il secondo conflitto mondiale, la penuria di materiali di qualità e le leggi che limitano l’uso dei pellami lo obbligano a nuove scelte. Sono gli anni in cui ricorre al cellofan della carta delle caramelle, al feltro da cappelli, ai tessuti in fibre naturali, come l’ortica. Sulla stampa estera del tempo a delle sue creazioni si legge: “La calzatura italiana è stata diffusa in America in una superba edizione grazie alla geniale e alacre iniziativa di Salvatore Ferragamo le cui attività non diminuiscono ora per il rarefarsi delle materie prime (…) ma acuiscono lo spirito inventivo dell’artista. Anzi lo spingono a utilizzare i materiali autarchici più disparati, dai quali egli ottiene elementi nobili per la costruzione di quei modelli che sono dei veri gioielli di praticità elegante”. Così, tra alto artigianato e sperimentazione, sono proprio in questi anni che vengono gettate le basi per il grande riconoscimento internazionale della moda italiana nel secondo dopoguerra, il cui simbolo è: il Sandalo Invisibile.

Anche in questo caso si tratta di un’idea nata per caso, un’opera di riciclo come si direbbe oggi. Un giorno Ferragamo incontra un suo operaio tornato da una partita di pesca con un grande pesce, che aveva preso, come ricorda lo stesso Ferragamo “usando un nuovo tipo di lenza fatta di nylon”. Il grande artigiano utilizza proprio la lenza da pesca per la sua la scarpa Invisibile, quel sandalo “metafisico”, come lo definì Emilia Kunster Rosselli sulle pagine di “Bellezza”, che gli valse il Neiman Marcus Award del 1947.

È stato così che Ferragamo ha scritto una delle pagine più importanti della moda e dello stile italiano, in un ideale equilibrio tra fantasia, ingegneristica precisione ed ecologia.

Un’occasione per riflettere approfonditamente sui temi della sostenibilità è la mostra “Sustainable Thinking” attualmente in corso al Museo Salvatore Ferragamo. Si ragiona di moda e di arte e di come Salvatore Ferragamo sia stato un precursore dei temi”verdi” che sono di così grande attualità oggi. L’allestimento prende ispirazione dall’archivio Ferragamo e presenta settantasette scarpe, create negli anni 30’ e 40’, e qualche modello degli anni 50’. Al centro della sezione c’è il sandalo Rainbow Future, nato nel 2018 sugli attuali principi della sostenibilità e ispirato al leggendario sandalo Rainbow, una delle invenzioni simbolo di Salvatore Ferragamo. Fu realizzato in capretto e camoscio nel 1938 per l’attrice Judy Garland. La scarpa presenta una zeppa in vero legno rifinita a mano ed è realizzata artigianalmente in cotone organico (certificato secondo i rigorosi criteri ambientali e sociali GOTS – Global Organic Textile Standard*) lavorato a mano all’uncinetto, con fodera in pelle rifinita senza alcuna emissione di anidride carbonica o consumo di acqua (tecnologia Layertech*). L’impiego di colla ad acqua, ottone non galvanizzato e filo per le cuciture in materiale 100% riciclato completano il sandalo, che rappresenta la continuità creativa del brand tra passato e presente e l’impegno dell’azienda ad adottare una strategia di responsabilità sociale che, in linea con i valori del fondatore, persegua obiettivi di crescita economica, ma che tenga in considerazione sempre di più l’impatto del proprio operato all’interno della sfera sociale e ambientale.

Sustainable Thinking – Museo Salvatore Ferragamo, Palazzo Spini Feroni, Piazza Santa Trinita n.5R Firenze – fino all’8 marzo 2020

museo.ferragamo.com