LA FLESSIBILE FANTASIA DEL MEDIO ORIENTE

Vorrei rileggere i pezzi di Alessandro e le sue avventure in moto, per ora mi accontento di un saluto da Tel Aviv

Qui sotto leggerete una nota da Tel Aviv di Alessandro Visca, mio amico caro e fedele che ha sempre avuto un sorriso per me, negli alti e bassi della vita. L’ho conosciuto nel 1996  sulla gloriosa pista del Mugello. A quell’epoca scriveva per Mototurismo, mensile di viaggi e avventure nei territori più impervi del mondo, ovviamente su due ruote.

Oggi Ale non scrive più, ma viaggia ancora in moto. La scorsa estate ci siamo quasi sfiorati, lui era sul Col de la Bonette a 90km da Nizza, moto e tenda, in compagnia di marmotte e altri animali selvatici.

Qualche notte fa pensavo quanto sarebbe stato bello rileggere i suoi pezzi, magari con viaggi nuovi e gli ho proposto di essere con me in questo nuovo spazio. Gli ho scritto subito su WhatsApp e lui era a Tel Aviv, e allora chiaramente ho voluto un suo pensiero da li….

ISRAELE. DAL 1948

Di Alessandro Visca – Tel Aviv, 22 Febbraio 2018

Era ormai da qualche anno che non venivo più a Tel Aviv, e mi mancava.No, non è che mi mancasse perché sia una bella città. Non lo è. Un po’ mi mancava perché, non lo nego, viaggiare in un luogo come Israele ha sempre una componente di esotismo che deriva molto dal modo e dalla frequenza  con cui di questo Paese ci parlano televisione e giornali. Lo fanno in modo da rendere la percezione di questa nazione come di un posto abbastanza pericoloso, un po’ misterioso, molto contradditorio; da temere più che da visitare.

Di vero ci trovo solo la contraddizione.

La contraddizione tra come viene descritto e percepito, e come in realtà è. Emblematico è stato il commento del collega che viaggiava con me. Dopo un paio di giorni mi ha detto di esserne rimasto un po’ deluso: si aspettava di vedere un sacco di controlli di sicurezza e di soldati per le strade, che invece non c’erano.

Si aspettava che Tel Aviv fosse tutta pulita ed ordinata, con grattacieli e costruzioni nuove, o almeno con un rigore comportamentale da cittadina svizzera, e invece ci ha trovato  case se non diroccate un po’ dimesse; traffico congestionato popolato da suoni di clacson, e qualche spunto di anarchia, come la consuetudine di attraversare le strisce pedonali con il semaforo rosso.

No, Tel Aviv non è in Svizzera.

Vi albergano menti eccelse e tecnologia da riferimento; orgoglio culturale; risorse umane che sanno resistere con tenacia incrollabile, e tirare fuori l’impossibile quando necessario.

Ma per fortuna lo fanno nel tipico ambiente medio orientale, un po’ polveroso, fatto di quella flessibile fantasia un po’ trasandata, che però a differenza di altri Paesi della zona non scende mai nel caos.

Andare a Tel Aviv mi piace perché si mangiano l’hummus, l’agnello ed i datteri; perché vi posso salutare  un’amica di quelle vere, che quando è stato necessario non mi ha fatto mancare uno spontaneo, disinteressato e concreto appoggio, nonostante fino ad allora fosse stata principalmente una collega.

Mi piace perché  andare a correre la sera una decina di chilometri sulla passeggiata del lungomare è un’emozione: che comincia sotto gli hotel con ambizioni di lusso, a ridosso dei campi di beach volley illuminati e sempre frequentati da ragazzi; prosegue su pontili di legno lunghi e ben curati; si snoda intorno ai lounge bar degli happy hour e della movida serale; fino a perdersi oltre l’aeroporto, dove di gente non ce n’è più, e resti solo con la brezza che viene dal mare, ed il filo spinato che ti separa dalla pista.

E quando hai finito di fare lo stretching e la doccia, fai in modo di conservare un po’ di energia e curiosità. La sera non finisce presto, perché che tu vada a cenare davanti al mare, o in un disco club, ci si diverte anche li, in un modo brioso si, ma elegante e mai sguaiato.

Avrei potuto descrivere questi posti con sole tre parole in una splendida sintesi: erano stampate su una felpa, in un negozio in aeroporto,  sotto la bandiera con la stella a sei punte: “Israel.  From 1948”.