Da oggetto del desidero, in veste di angelo o di tentatrice, a soggetto misterioso che s’interroga sulla propria identità, fino alla nuova immagine nata dalla contestazione degli anni sessanta: la mostra DONNE. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione – alla Galleria d’Arte Moderna di Roma – è una riflessione sulla figura femminile attraverso la visione di artisti che hanno rappresentato e celebrato le donne tra fine Ottocento e fino ai giorni nostri.

Il ragionamento si snoda attraverso circa 100 opere, tra dipinti, sculture, grafica, fotografia e video, di cui alcune mai esposte prima o non esposte da lungo tempo, provenienti dalle collezioni d’arte contemporanea capitoline, a documentazione di come l’universo femminile sia stato sempre oggetto prediletto dell’attenzione artistica. “Le donne devono essere nude per entrare nei musei?” – si domandava in maniera provocatoria lo slogan di uno dei più famosi collettivi di artiste femministe americane. L’interrogativo rifletteva su una verità incontrovertibile. Per secoli l’immagine femminile è stata, infatti, protagonista della creatività: il nudo femminile come forma da studiare, modello di bellezza, di erotismo.

La modella diventava, alternativamente: la musa ispiratrice; la fonte di ogni peccato; l’esempio di doti domestiche; e la rappresentazione della maternità.

Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del XX le suggestioni vanno da: Le Vergini savie e le vergini stolte di Giulio Aristide Sartorio; alle modelle discinte in pose provocanti dei pittori divisionisti – Camillo Innocenti, La Sultana – passando a L’angelo dei crisantemi di Angelo Carosi.

La donna vive sospesa tra il suo essere allo stesso tempo ninfa gentile e crudele seduttrice, Musa e Sfinge, analogamente a quanto avveniva nella contemporanea letteratura simbolista e decadente di D’Annunzio e dei poeti d’oltralpe.

I profondi cambiamenti sociali, politici che seguirono la fine della Grande Guerra con la messa in crisi dei valori tradizionali, determinarono anche la prima grande rottura di quell’immaginario consolidato. Di pari passo all’emancipazione sociale delle donne – dai primi movimenti delle suffragette in Europa alla prepotente entrata nel mondo del lavoro a causa delle contingenze storiche – anche la raffigurazione dell’immagine femminile nelle arti visive risentì delle contraddizioni di una società che stava cambiando.

Alla trasformazione delle dinamiche sociali si aggiunse l’impatto che su tutta la cultura occidentale del Novecento ebbero le teorie freudiane (L’interpretazione dei sogni è del 1900) che scarpinarono per sempre l’immagine armonica della famiglia tradizionale, ora descritta come coacervo di pulsioni e conflitti. Nella serie dei ritratti esposti al secondo piano della mostra spicca, tra gli altri, il volto di Elisa, la moglie di Giacomo Balla, ritratta mentre si volta per guardare qualcosa o qualcuno dietro di sé. Il valore iconico dell’immagine è racchiuso nello sguardo che muta lo stupore in seduzione e curiosità trasformando il ritratto della giovane donna da oggetto da ammirare a soggetto misterioso. Figure allo specchio si interrogano sulla propria identità, volti enigmatici restano ermetici allo sguardo, realistici nudi espressionisti si alternano a visioni di un’umanità felice in uno spazio senza tempo.

Il forte richiamo alla famiglia italica tradizionale propagandata dal Fascismo, insieme al decremento dell’occupazione femminile, al fine di sottolineare e riaffermare l’esclusivo ruolo della donna come madre, trovò riscontro in molte delle espressioni artistiche coeve. Eppure quel modello, fatto proprio da molta arte degli anni Trenta e Quaranta, viene spesso disatteso pur nella ripresa di un analogo soggetto in cui l’intimità delle mura domestiche diventa un luogo e un universo segnati da indecifrabili solitudini esistenziali: Antonietta Raphaël, Riflesso allo specchio; Luigi Trifoglio, Maternità; Mario Mafai, Donne che si spogliano; Baccio Maria Bacci , Vecchie carte. Il voto delle donne nel 1946, conquista ottenuta anche grazie alla partecipazione femminile alla guerra di liberazione, rappresentò una svolta radicale nella storia italiana.

Fu solo a partire dalla fine degli anni Sessanta che le lotte per il raggiungimento della parità di diritti produssero nelle donne un profondo cambiamento nella percezione di sé, delle proprie possibilità e potenzialità nei più vari ambiti, compreso quello dell’arte. Contemporaneamente alla contestazione sociale dei modelli patriarcali, la consapevolezza di una nuova identità femminile fu al centro della ricerca di molte artiste;ed anche il ruolo predestinato di “madre”, passando dalla condizione di scelta obbligata, divenne il fulcro del dibattito sulle libertà della donna e sulla riappropriazione del proprio corpo.

Uscendo dalla galleria mi sono tornate in mente le parole di Monica Vitti: “Le donne mi hanno sempre sorpresa: sono forti, hanno la speranza nel cuore e nell’avvenire”.

“Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione” Galleria d’Arte Moderna di Roma – Via Francesco Crispi n.24 Roma galleriaartemodernaroma.it

– fino al 13 ottobre 2019